Schivo, generoso, intransigente, curioso, radicale, appassionato. Chi ha avuto la fortuna di conoscere Salvatore Piermarini, di lavorare al suo fianco, di essergli amico riconoscerà forse in questa lista l’abbozzo di un ritratto. Per tutti gli altri che non hanno avuto questo privilegio, il senso di questa lista emergerà dall’incontro con le immagini che ci ha lasciato. Un fotografo che ha «voluto vedere tutto», uno sguardo permanente sul mondo e sull’umano, cha ha scattato senza sosta dagli anni ’60. Dal mirino della sua Nikon F, e poi della Leica M6 e dell’Hasselblad SWC. Ma anche «a memoria», senza macchina al collo, tutte le volte che il suo sguardo incrociava una scena di cui tenere traccia, per cui valeva la pena lasciare un segno. Free-lance, libero di scegliersi i progetti, di rifiutare i compromessi, di segni indelebili Piermarini ne ha lasciati: nel suo archivio sterminato e amatissimo, nei libri pubblicati, nelle migliaia di disegni a china c’è la storia di uno sguardo che ha attraversato con rigore e tenerezza gli ultimi 50 anni. Il lavoro, la scena dell’arte e delle avanguardie, la protesta studentesca, le lotte dei braccianti, l’America del mito e la trasformazione del mondo Mediterraneo, la Calabria, Roma, l’Aquila. L’amicizia, la morte. Bruna, a cui ha dedicato Il perduto incanto (Rubbettino), il libro uscito un attimo prima che Salvatore se ne andasse, nel novembre del 2019.
Un percorso di ricerca, fatto di sodalizi, di legami profondi, intellettuali e umani. Come quello con Vito Teti, antropologo, scrittore e, grazie a Salvatore, fotografo egli stesso. Cominciata nella Feltrinelli di via del Babuino nel dicembre del 1976, la collaborazione tra il fotografo e l’etnografo non ha mai smesso di contaminarne le scritture e le vite. Ne sono nati progetti, reportage, avventure e libri straordinari, come Le strade di casa e Homeland: racconti di immagini e parole sul destino di San Nicola da Crissa, un paese calabrese, simbolo di una comunità e di un intero mondo tradizionale di cui solo oggi misuriamo la perdita, che l’emigrazione a Toronto ha allo stesso tempo svuotato e raddoppiato, disperso e re-inventato.
Per decenni lo sguardo di Salvatore Piermarini ha documentato la vita dei nostri paesi mobili e inquieti del Mezzogiorno d’Italia. Lo ha fatto con la cura e la delicatezza di chi è implicato nella vicenda che racconta. Se ne sente parte. E sa da che parte stare. Per lasciare un segno. Che oggi, più che mai, è necessario riscoprire, leggere e interpretare.
La mostra fotografica “LE STRADE DI CASA. ANATOMIA DI UNA COMUNITA’. La ricerca di un Paese attraverso il tempo e i continenti”
La mostra, patrocinata dalla Regione Calabria e dal Comune di San Nicola da Crissa, è curata da Alfredo Corrao in collaborazione con la FullMind Lab, e raccoglie la ricerca condotta nell’arco di quasi trent’anni dal fotografo Salvatore Piermarini (1949-2019) con l’antropologo Vito Teti su una comunità calabrese divisa tra San Nicola da Crissa (VV) e Toronto.
Le immagini, che rimarranno esposte fino al 6 novembre, mostrano la dimensione quotidiana, rituale, festiva, comunitaria di un paese calabrese a inizio Anni Ottanta del Novecento e il suo dilatarsi, trasferirsi, risorgere in Canada. Ne vengono documentati i caratteri e le mutazioni antropologiche di un paese doppio.
Riti, feste, volti, dimensione religiosa, socialità di un paese unito nelle tradizioni, anche se diviso da un oceano, che viene splendidamente ritratto da un fotografo esterno e un antropologo interno al mondo osservato.
Salvatore Piermarini (1949–2019) approda alla fotografia nel 1966, la promuove a suo linguaggio d’elezione e comincia a studiarne la storia, i maestri e la disciplina. Fotografo autodidatta e freelance, realizza centinaia di reportage sul lavoro dell’uomo, sul mondo dell’arte e della cultura, sui luoghi della metropoli, sul ritratto, sulla fotografia di viaggio, di architettura, di paesaggio. Nel 1981 è segnalato da Time-Life Photography Year che pubblica un suo ciclo di fotografie. Autore di numerosi libri, mostre personali e collettive, ha collaborato con istituzioni culturali italiane e straniere. Nel 1990 pubblica, insieme a Mauro Mattia, Lo sguardo di New York (La casa Usher), nel 2001 Inventario Mediterraneo (Monteleone), mentre del 2012 è la campagna fotografica edita nel volume L’Aquila. Magnitudo zero (Quodlibet). Nel 2019 Rubbettino ha pubblicato il suo Il perduto incanto. Dall’intensa collaborazione con Vito Teti, sono nati, tra gli altri, Le strade di casa. Visione di un paese di Calabria (Mazzotta 1983), Le navi che volano. Reportage di viaggio in Calabria 1973–2002 (Monteleone, 2003), Pathos (Rubbettino 2019).