Journey in a rejected memory
Do you want me or do you not? I heard one thing, now I’m hearing another *
I think it has happened to everyone to find, in a market, from a second-hand dealer, some photographs: old prints or albums, negatives thrown in bulk … and inevitably feel the need to look at them, to scroll through those moments that belonged to others, to complete strangers who their photos are perpetuating “rituals” that belong to everyone.
Birthdays to celebrate, holidays to remember, landscapes to show. All inscribed in a rectangle of film or emulsified paper.
We may have purchased some of these photos, but many have remained there waiting for the next visitor’s gaze.
Then it happens that a chaotic set of negatives and contact sheet emerge from an abandoned cardboard next to a dumpster and that a detail attracts you so much that you overcome the unpleasant feeling of “rummaging in the garbage” and recovering them all...
And you end up spending hours scanning, post-producing, photos that are not the result of your gaze or your experience, which insinuate many questions and few answers into your mind, but opening up a preferential channel with your imagination.
Who are those people? What moment in their life were they writing with those images? And why were those same images, those same moments then rejected, thrown away? And who did it? They themselves or who should have collected and received that memory? I like the idea of returning those moments to the memory, no longer private but collective, for which they were intended.
To reinterpret emotions and people by filtering them through my eyes, something that a photographer feels every time he lets his camera shutter open … discovering that you can photograph when the light has already impressed the film years before.
The photos that are part of this project clearly fall within the vein of vernacular photography, of the photo trouvée so well described by Clément Chéroux in 2013. They are photographs that already etymologically eschew an artistic role or of interest, social or news, but that precisely because this, with the blessing brought by the patina of time, they assume that role so as to become the subject of collections and museum exhibitions.
Without the passage of time, this daily photography, domestic and repetitive in its visual topos, cannot help but remain outside the space of cultural legitimation that the professional photographer, and with him the critic, the gallery owner and many others, recognize as such. Examples are those infinite image reservoirs that are social media today. Yet … on closer inspection, between selfies, dishes ready to be eaten alone or in company, feet and kittens, the collective memory of our present is being written.
And to the collective memory, cloaked in that charm given to them by decades and by the questions they inevitably ask, I want to bring back these photos. Divided into groups, based on the type of film used, but all in a single – perpetually ongoing – project, “the Archive of Souls”, they tell great little chapters in the life of each of us.
Credo sia capitato a tutti di trovare, in un mercatino, da un rigattiere, delle fotografie: vecchie stampe o album, negativi gettati alla rinfusa… e inevitabilmente sentire il bisogno di guardarle, di scorrere quegli attimi appartenuti ad altri, a perfetti sconosciuti che con le loro foto stanno perpetuando “riti” che sono di tutti. Compleanni da festeggiare, vacanze da ricordare, paesaggi da mostrare. Il tutto inscritto in un rettangolo di pellicola o di carta emulsionata.
Alcune di queste foto le abbiamo forse acquistate, tante invece sono rimaste lì ad attendere lo sguardo del visitatore successivo.
Poi succede che da un cartone abbandonato vicino a un cassonetto emerga un insieme caotico di negativi e provini strappati e che un particolare ti attragga così tanto da farti superare la sgradevole sensazione di “rovistare nell’immondizia” e di recuperarli tutti…
E finisce che passi ore a scansionare, post produrre, foto che non sono frutto del tuo sguardo o del tuo vissuto, che ti insinuano in mente molte domande e poche risposte aprendoti però un canale preferenziale con la fantasia.
Chi sono quelle persone? Quale momento della loro vita stavano scrivendo con quelle immagini? E perché quelle stesse immagini, quegli stessi momenti sono stati poi rifiutati, gettati via?
E chi lo ha fatto? Loro stessi o chi avrebbe dovuto raccogliere e accogliere quella memoria?
Mi piace l’idea di restituire quegli istanti alla memoria, non più privata ma collettiva, a cui erano destinati. Di reinterpretare le emozioni e le persone filtrandole attraverso i miei occhi, cosa che un fotografo sente ogni volta che lascia aprirsi l’otturatore della propria fotocamera… scoprire che si può fotografare quando già la luce ha impressionato anni prima il film.
Le foto che fanno parte di questo progetto rientrano chiaramente nel filone della fotografia vernacolare, della photo trouvée così ben descritto da Clément Chéroux nel 2013. Sono fotografie che già etimologicamente rifuggono un ruolo artistico o di interesse, sociale o di cronaca, ma che proprio per questo, con la benedizione portata dalla patina del tempo, quel ruolo lo assumono tanto da divenire oggetto di collezioni ed esposizioni museali.
Senza il passare del tempo questa fotografia quotidiana, domestica e ripetitiva nei suoi topos visivi, non può far altro che restare al di fuori dello spazio di legittimazione culturale che il fotografo professionista, e con lui il critico, il gallerista e tanti altri, riconosce come tale. Ne sono esempio quegli infiniti serbatoi di immagine che sono oggi i social. Eppure… a ben guardare, tra selfie, piatti pronti a essere mangiati da soli o in compagnia, piedi e gattini, si sta scrivendo la memoria collettiva del nostro presente.
E alla memoria collettiva, ammantate da quel fascino donato loro dai decenni e dalle domande che inevitabilmente pongono, voglio riportare queste foto. Divise in gruppi, basati sul tipo di pellicola usata, ma tutte in un unico – perennemente in corso – progetto, “the Archive of Souls”, esse raccontano piccoli grandi capitoli della vita di ognuno di noi.
* Happiness Is A Butterfly, Lana Del Rey 2019 © Sony/ATV Music Publishing LLC